Tutta la plastica che beviamo

Nell’acqua corrente di tutto il mondo sono state rinvenute fibre di plastica microscopiche. È la rivelazione shock di uno studio condotto da Orb Media, un organizzazione non profit di Washington che ha condiviso con il Guardian, in esclusiva, i suoi risultati.

L’acqua plasticosa..

L’83% dei campioni analizzati sono risultati contaminati. Il numero medio di fibre rinvenute ogni 500 ml di acqua oscilla tra il 4,8% degli Usa all’1,9% dell’Europa. La nuova analisi segnala che le fibre di plastica sono ovunque: negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria, se affiancata ad altri studi. «Sta impattando la fauna in modo preoccupante…come possiamo pensare che non stia impattando noi», ha osservato Sherri Mason esperta dell’università di New York che ha supervisionato l’analisi di Orb.

«È una notizia che dovrebbe scuoterci», afferma Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace 2006. «Sapevamo che questa plastica tornava da noi attraverso la catena alimentare. Ora scopriamo che torna da noi attraverso l’acqua potabile. Abbiamo una via d’uscita?».

Anche Libano (94%) e India (82%) registrano tassi di contaminazione elevati, mentre l’Europa risulta essere l’area “più pulita” con le fibre di plastica presenti “solamente” nel 72 per cento dei casi.

Ad allarmare il team di ricerca – e i comuni cittadini – sono anche le proporzioni del livello di inquinamento, con punte del 4,8% di fibre di plastica ogni 500ml d’acqua negli USA e fino all’1,9% in Europa. E a destare ulteriore preoccupazione è l’incertezza sull’origine di questa forma di inquinamento, probabilmente legata all’uso di vestiti sintetici (che emettono fino a 700 mila fibre ogni lavaggio) ma senza che ad oggi vi sia alcuna conferma in merito. Un’altra fonte possibile di inquinamento potrebbe essere l’aria: ogni anno, infatti, sulla superficie si depositano tra le 3 e le 10 tonnellate di fibre sintetiche.

La plastica presenza terrificante!

Ci sono voluti undici anni di misure, ma alla fine la quantità di plastica che galleggia al centro del Pacifico Settentrionale, la cosiddetta “Great Pacific Garbage Patch” è stata determinata con una certa accuratezza.

L’esistenza della Grande chiazza di immondizia del Pacifico fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici nel nord dell’Oceano Pacifico. Queste indagini trovarono elevate concentrazioni di detriti marini accumulati nelle regioni dominate dalle correnti marine. Basandosi su ricerche effettuate nel Mar del Giappone, i ricercatori ipotizzarono che condizioni similari dovessero verificarsi in altre porzioni dell’Oceano Pacifico, dove le correnti prevalenti favorivano lo sviluppo di masse d’acqua relativamente stabili. I ricercatori indicarono specificamente il Nord del Pacifico come zona di convergenza del Vortice subtropicale.

Si tratta di un’immensa massa di spazzatura che vaga nell’Oceano Pacifico: oltre 21 mila tonnellate di microplastica, in un’area di qualche milione di kmq con una concentrazione massima di oltre un milione di oggetti per kmq. L’accumulo è noto da parecchio tempo, perlomeno dalla fine degli anni ’80, e ha un’età di oltre 60 anni. Un gigantesco vortice di correnti superficiali ha concentrato in quest’area i rifiuti formati principalmente da materiali plastici gettati o persi da navi in transito, o scaricati in mare dalle coste del Nord America e dall’Asia. Questa concentrazione, oltre che dall’effetto focalizzante delle correnti, dipende dal fatto che la plastica non è biodegradabile e permane per tempi lunghissimi nell’ambiente. Una lentissima degradazione a opera principalmente della luce del Sole, scompone i frammenti plastici in sottili filamenti caratteristici delle catene di polimeri. Questi residui, non sono metabolizzabili dagli organismi, e finiscono per formare un vero e proprio “brodo” nell’acqua salata dell’oceano.

Un problema difficile da risolvere

Risolvere il problema diventa dunque una priorità per garantire la salute umana, e nel frattempo alcuni grandi marchi dell’abbigliamento hanno affermato che stanno lavorando per migliorare i tessuti sintetici per ridurre l’inquinamento da fibre. Anche i produttori di lavatrici stanno apportando modifiche ai loro prodotti, inserendo speciali filtri da inserire nel cestello per contenere le emissioni di fibre durante i lavaggi.

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